Un po’ di storia del Bruxismo
BRUXISMO. Chissà come mai è stata scelta una parola così strana per definire una condizione altrettanto strana. Forse perché la prima a parlarne fu una certa Pletkiewicz che introdusse il termine “la Bruxomanie” agli inizi del 900’. Una parola francese scelta da una dottoressa di origini polacche. Che sia già questa la risposta al nostro dubbio! O forse siamo noi, e mi riferisco a noi dottori, che l’abbiamo resa, e tuttora la rendiamo, strana. E forse lo facciamo perché anche noi ne sappiamo poco e quindi ci fa comodo lasciare un alone di mistero. E forse lo facciamo apposta perché il misterioso di solito piace. L’unica cosa certa è che ci sono un po’ troppi “forse” per cui cerchiamo di capire come mai esistono così tanti dubbi quando si parla di bruxismo.
Dunque, ripartiamo dalla dottoressa Pletkiewicz la quale probabilmente non immaginava il dramma che si sarebbe scatenato nel secolo successivo a causa sua: la definizione di bruxismo. L’apice della confusione è stato raggiunto a cavallo degli anni 50’ e 60’ durante il boom della ricerca scientifica quando le evidenze che emergevano erano tante ma gli strumenti di interpretazione non ancora sufficienti. Si è iniziato a inquadrare il digrignamento dei denti come un modo di sfogare la tensione e che può avere cause locali, sistemiche, o legate al lavoro con, tuttavia, i fattori psicologici a rappresentarne la vera forza scatenante. Al contrario, però, molti autori, anche autorevoli, tendevano a sostenere come i fattori occlusali giocassero un ruolo importante nel nesso causa-effetto con il bruxismo; ad esempio, una ricostruzione dentale alta o un malposizionamento dei denti.
Entriamo ora nel vivo di ciò che si sa oggi. Partiamo innanzitutto con il semplificare una condizione che altro non è che un’attività regolata dei muscoli masticatori (MM) ripetuta nel tempo, e che questa attività può avvenire sia durante il sonno (Sleep Bruxism, SB), sia durante la veglia (Awake Bruxism, AB). Si credeva che questo “comportamento” muscolare fosse legato all’interazione tra loro dei denti e dei muscoli, ovvero serramento e/o digrignamento dei denti. E’ stato dimostrato però che il contatto dentale non è una condizione né necessaria né sufficiente affinchè si possa parlare di bruxismo ma che basta la sola tensione dei MM, e conseguentemente il forzare la mandibola in una certa posizione. Sulla stessa linea è cambiato il modo di intendere il bruxismo; la natura del bruxismo è sicuramente più complessa del suo semplice inquadramento a parafunzione orale (come ad esempio il mangiarsi le unghie). E’ ormai noto come si tratta di un disturbo cosiddetto bio-psico-sociale in cui affianco al coinvolgimento di circuiti endogeni neuro-muscolari ancora da chiarire completamente gioca un ruolo centrale la sfera psicologico-sociale. Farmaci, abitudini di vita, malattie, stati emotivi, sono tutti fattori che entrano in gioco quando si parla di bruxismo. Allo stesso tempo, “patologia” e “bruxismo” non devono più essere considerati due termini che si accompagnano necessariamente in modo complementare. Il bruxismo può sì avere un ruolo dannoso nella fisiologia dell’apparato stomatognatico e non solo, ma può al tempo stesso avere un impatto neutro o addirittura protettivo verso altre malattie.
Una domanda dunque sorgerà spontanea. E i denti? Che ruolo hanno in tutto ciò? La risposta è in realtà semplice: si trovano lì in mezzo, come la lingua e le guance, e possono essere coinvolti oppure no. Alle volte denti, lingua e guance sono molto utili nella ricerca di segni che facciano ipotizzare di trovarsi di fronte a una persona bruxista. Ma è davvero sbagliato pensare che l’occlusione e la posizione dei denti sia la causa del bruxismo. E questo deve essere il mantra da cui deve partire ogni persona che cerca informazioni sul suo eventuale bruxismo!
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